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L’agire nel controtransfert rappresenta un tema cruciale nella pratica psicoanalitica. Sigmund Freud fu il primo a sottolineare l’importanza del controtransfert, descrivendolo come le reazioni inconsce dell’analista nei confronti del paziente. In una lettera a Jung nel 1909, Freud affermò: “Non dobbiamo dimenticare che siamo tutti esseri umani e che il nostro inconscio reagisce a quello del paziente”. Da allora, il concetto si è evoluto in una direzione che va ben oltre la semplice reazione personale, diventando uno strumento diagnostico e terapeutico fondamentale.

Definizione ed evoluzione del concetto

Il controtransfert è stato inizialmente visto come un ostacolo alla neutralità analitica, qualcosa che l’analista doveva controllare e superare. Tuttavia, con il passare del tempo e grazie al contributo di autori come Paula Heimann e Wilfred Bion, è stato rivalutato come una risorsa preziosa. Heimann, in particolare, propose che il controtransfert fosse uno specchio delle dinamiche inconsce del paziente, un fenomeno da esplorare piuttosto che da reprimere.

Wilfred Bion, nel suo lavoro sul pensiero e la capacità negativa, ha sottolineato l’importanza di tollerare l’incertezza e utilizzare le proprie reazioni controtransferali per comprendere meglio le emozioni non elaborate del paziente. Questo cambiamento di prospettiva ha aperto la strada a un uso più attivo del controtransfert, portando all’idea di “agire nel controtransfert”.

Cosa significa agire nel controtransfert?

L’agire nel controtransfert si verifica quando l’analista, consapevolmente o inconsapevolmente, mette in atto comportamenti, emozioni o interpretazioni influenzati dalle proprie reazioni controtransferali. Questo non deve essere confuso con una mancanza di controllo professionale; al contrario, implica una profonda consapevolezza e riflessione.

Ad esempio, Galit Atlas, nel suo libro Emotional Inheritance, esplora come le emozioni e i traumi transgenerazionali possano emergere nel setting analitico attraverso il controtransfert. Atlas sottolinea che l’agire nel controtransfert può rivelare dinamiche nascoste e offrire una comprensione più profonda del paziente.

Esempi clinici

Un esempio classico di agire nel controtransfert è rappresentato dal fenomeno del “paziente difficile”. Immaginiamo un paziente che evoca sentimenti di irritazione nell’analista. Se quest’ultimo si limita a reprimere tali sentimenti senza esplorarne l’origine, rischia di perdere informazioni preziose. Al contrario, se l’analista si concede di riflettere su cosa significhi quella irritazione – forse un bisogno del paziente di testare i confini o di replicare dinamiche relazionali familiari – può trasformare un ostacolo in un’opportunità terapeutica.

Westen (1991) ha suggerito che il controtransfert non è solo una reazione al paziente, ma anche una risposta al campo relazionale creato dall’interazione tra analista e paziente. Questo campo è intriso di affetti, fantasie e aspettative reciproche, che possono emergere attraverso l’agire controtransferale.

Rischi e benefici

L’agire nel controtransfert comporta rischi significativi, soprattutto se non adeguatamente riconosciuto. Può portare a una distorsione della relazione terapeutica o a interpretazioni inappropriate. Tuttavia, quando utilizzato con consapevolezza, può diventare uno strumento potente per accedere a contenuti inconsci che altrimenti rimarrebbero nascosti.

Bion, con la sua enfasi sull’importanza di “contenere” le emozioni del paziente, ha evidenziato che l’analista deve essere capace di tollerare il disagio provocato dal controtransfert senza reagire impulsivamente. Questa capacità di contenimento è essenziale per trasformare l’agire in un momento di crescita terapeutica.

Implicazioni pratiche

Per lavorare efficacemente con l’agire nel controtransfert, l’analista deve:

  1. Sviluppare una consapevolezza di sé: Attraverso la supervisione e l’autoanalisi, l’analista può diventare più consapevole delle proprie reazioni emotive e dei loro significati.
  2. Utilizzare il controtransfert come strumento diagnostico: Le reazioni dell’analista possono offrire indizi sulle dinamiche inconsce del paziente.
  3. Coltivare la capacità negativa: Come suggerito da Bion, l’analista deve essere in grado di tollerare l’incertezza e la confusione senza cercare soluzioni immediate.
  4. Integrare l’agire nel processo terapeutico: Riconoscere e analizzare l’agire nel controtransfert può arricchire la comprensione reciproca e favorire il cambiamento.

L’agire nel controtransfert non è un errore, ma un’opportunità per esplorare le profondità dell’inconscio condiviso tra analista e paziente. Come scriveva Freud, “Dove c’era l’Es, ciò deve diventare l’Io”: l’esplorazione del controtransfert ci consente di illuminare aree oscure della psiche e di promuovere una trasformazione autentica.

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