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Molti soggetti sono inclini a pensare che certi vissuti del proprio passato vengano relegati nell’area del “non ricordo” solo per il fatto che sono di per se’ dolorosi e spiacevoli.

Nel pensiero comune si puo’ pensare che accada effettivamente un processo simile, meglio definito come processo di rimozione, ovvero: ‘quell’episodio mi ha fatto stare molto male e dunque faccio in modo di non ri-evocarlo piu’ alla memoria’.

In senso scientifico le cose non stanno proprio cosi’: sulla base di studi approfonditi e grazie al contributo delle Neuroscienze sappiamo che, per esempio, il ruolo dell’inconscio e’ stato declassato in fatto di importanza e di attendibilita’ (anche se la Psicoanalisi ancora oggi ne sottolinea il primato nella cura dei disturbi mentali).

La memoria, non come semplice traguardo rispetto a ricordi e vissuti del passato, ma in quanto ‘motore’ che spinge l’individuo a connettere emozioni e ricordi (siano essi procedurali, semantici) in vista di una proficua riuscita terapeutica.

Niente di piu’ difficile, anche perche’ in alcuni quadri psicopatologici (vedi il soggetto alessitimico) lavorare sulle  emozioni rappresenta un primo obiettivo da raggiungere propedeutico a qualsiasi altra forma di cura.

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